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Il trading? È come scavare la roccia

La polvere del percorso.
 A San Antonio Avenue, nella città di El Paso, in Texas, trovi una stazione di bus.

Molto efficiente, aperta 24 ore, puoi prendere da lì un bus che ti porta in sette ore, su una strada piuttosto accidentata che attraversa la montagna circostante, fino a Mojave, nel deserto della California.

Lì, al numero 15900 di Sierra Highway (il civico è proprio 15900, da fare invidia a Via Trionfale a Roma), scopri che il titolare di quella azienda di bus si chiama Carl, come il papà e come il nonno, lui infatti si chiama Carl Junior.

Ed è proprio un suo impiegato che ti propone di comprare il biglietto di ritorno in Texas. Con altre sette ore per tornare al punto di partenza.

Il paesaggio che incontri durante il viaggio è un mix di montagne, canyon e deserto.

Ma Mojave era la sede di una fonderia ai tempi della leggendaria corsa all’oro della California.

Proprio dal lato californiano della montagna di El Paso, c’erano numerose miniere. E una di queste era stata scoperta da un tale minatore inglese, di nome William Schmidt.

Ma per gli amici, non ne aveva molti, per la gente del posto e gli altri minatori, sarebbe diventato William “Burro” Schmidt.

William era nato nel 1871. Alla fine del secolo, aveva accumulato una discreta ricchezza grazie all’oro.

Ma aveva un problema.

In realtà, in parte era stato costretto a vendere oro grezzo, perché non lo portava alla fonderia di Mojave: dalla sua miniera alla fonderia c’era un sentiero montano scosceso, un vero e proprio crinale pericoloso, da percorrere con due asini.

E lui, che non aveva alcuna paura di scavare la roccia, di mangiare la polvere, di massacrarsi le mani con il badile, di essere seppellito dai sassi, viveva con terrore quel percorso.

Se sotto quel tratto di crinale roccioso e scosceso, proprio alla base della montagna, ci fosse stato un tunnel, lui avrebbe potuto usarlo per arrivare agevolmente alla fonderia di Mojave.

Ma il tunnel non c’era.

Così, era il 1900, William decise di risolvere il problema.

Si mise a scavare il tunnel.

Osservò bene quale dovesse essere il punto di ingresso più favorevole: proprio alla fine della Freemont Valley, dopo il Koehn Dry Lake, laddove, a poca distanza, sorgevano le piccole cittadine di Garlock e Saltdale, oggi entrambe città fantasma, testimonianza storica di quell’irripetibile epoca d’oro.

La cima di quella montagna era 1300 metri più su.

Realizzando il suo tunnel, “Burro” Schimdt avrebbe coronato il suo sogno di evitare quel percorso pericoloso.

Il tunnel era alto un metro e ottanta e largo 3 metri.

Scavato soltanto con badile, piccone, martello e dinamite a miccia corta.

Con un immenso pericolo di crollo ad ogni picconata. E di crolli, “Burro” ne vide tanti… e ne uscì sempre incolume.

Anche quando rimase ferito e intrappolato dalla caduta di massi dietro di lui. Scavò a ritroso per uscire.

Lui non aveva paura della polvere.

La roccia scavata era prevalentemente granito, che richiese poche opere di puntellamento.

Dopo 20 anni, nel 1920 era arrivato circa a metà dell’opera.

Sopra di lui, era stata completata la strada che eliminava la necessità di ricorrere al tunnel. Quella strada dove poi sarebbe stato istituito anche un servizio di trasporto: oggi i bus di Carl.

Ma William “Burro” Schmidt viveva il suo tunnel come una ossessione. E volle completarlo, ad ogni costo.

Nel 1938, dopo 38 anni dall’inizio, raggiunse l’obiettivo.

Dopo avere scavato, da solo, 760 metri di granito, e avere spostato 5800 tonnellate di roccia con il solo aiuto di una carriola.

William non usò mai il tunnel… lo vendette ad un altro minatore.

Un cartone animato americano lo immortalò definendolo “la talpa umana”.

Nella città fantasma di Garlock – puoi chiedere al bus di Carl di fermarti lì, ma stai bene attento a trovarti all’orario preciso del bus di ritorno, perché una città fantasma non è esattamente un posto turistico – puoi trovare la capanna dove abitava William “Burro” Schmidt, ben conservata, grazie al clima molto secco.

William lasciò quel posto. Morì nel 1954.

William aveva scavato roccia per tutta la vita.

Aveva trovato l’oro.

Aveva scavato un tunnel, la cui opera sarebbe stata difficile da realizzare perfino con macchinari moderni.

Era il suo lavoro, ma era la sua passione.

Si può avere la passione di qualche cosa? E la sua passione era scavare, scavare, ottenere, sì, un qualche risultato da quel lavoro, ma la passione prevaleva perfino sul risultato stesso.

Fare trading è un po’ come scavare la roccia. Giorno per giorno, mangi un po’ della polvere che il mercato ti costringe ad ingoiare, ma, alla fine, se sei stato costante e hai rispettato le regole del tuo sistema, vedi la luce in fondo al tunnel.

 

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“Dall’editoriale del numero 51/2023 di INVESTORS’ Magazine”

Maurizio Monti
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